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GIUSEPPE VERDI: VICENDE E ANEDDOTI - 3^ parte

GIUSEPPE VERDI: VICENDE E ANEDDOTI - 3^ parte



Verdi, come sempre inflessibile, rifiutò anche il colloquio concesso da re Ferdinando II; grazie alle autorevoli conoscenze in Vaticano dell’impresario Jacovacci, l’opera fu rappresentata al teatro Apollo di Roma con poche variazioni ed enorme successo. Il musicista era divenuto simbolo d’italianità anche sui muri e nei manifesti; quando si scriveva “Viva VERDI” tutti intendevano quel nome come l’abbreviazione di “Vittorio Emanuele re d’Italia”. Il mese di settembre 1859 fu inviato a Torino per comunicare al re sabaudo il consenso del Parmense all’annessione. Nel 1869 ricevette dal Khedivè d’Egitto l’invito a comporre un’opera per il nuovo teatro del Cairo, in occasione dell’apertura del Canale di Suez.
L’ “Aida”, di cui Verdi ideò anche le trombe che avrebbero esaltato il trionfo di Radames sugli etiopi di Amonasro, andò in scena il 24 dicembre 1871 dalle sette di sera alle tre e mezzo del mattino; il Khedivè e la corte vi assistettero fino al termine insieme ad un pubblico eterogeneo e alle donne velate dell’harem. Nella replica alla Scala, l’8 febbraio 1872, Verdi fu chiamato al proscenio trentadue volte, anche perchè si riteneva che fosse la sua ultima opera. Seguì infatti una lunga pausa fino alla “prima” dell’ “Otello” nel 1887. Quando il musicista lasciò la Scala, la folla trainò a braccia la sua vettura fino all’ Hotel Milan, dove alloggiava, e pretese che dal balcone il celebre tenore Francesco Tamagno intonasse l’ “Esulatate”. Nel suo ultimo capolavoro, l’ironico e beffardo “Falstaff”, rappresentato nel 1893 alla Scala quando era quasi ottantenne, Verdi ha lasciato un messaggio di serena accettazione della vita: “Tutto è finito. Va, va, vecchio John, cammina per la tua via”. Per sfuggire al delirante entusiasmo dovette lasciare il teatro da una porta secondaria.
Il 21 gennaio 1901, colto da apoplessia, perse conoscenza; una folla silenziosa rimase in attesa di notizie sulla strada ricoperta di paglia per attenuare il rumore delle carrozze. Scomparve il 27 seguente; in ossequio alle disposizioni testamentarie, fu sepolto all’alba con la massima semplicità (due preti, due candele e una croce). Ma quando, il mese dopo, il Comune di Milano autorizzò la traslazione nella “Casa di riposo dei musicisti” da lui fondata, che accoglie tuttora artisti indigenti, più di 300 mila persone gli resero omaggio. Il fastoso carro, disegnato da due architetti, era seguito da centinaia di corone, mentre un immenso coro, diretto da Arturo Toscanini poi assurto a celebrità, intonava il sublime “Va, pensiero”. Dall’opera verdiana “Simon Boccanegra” il musicista molfettese Francesco Peruzzi (1863-1946) ridusse la marcia funebre per banda tuttora in repertorio durante le processioni pasquali. L’impeccabile esecuzione di due brani, di cui uno tratto da “La Forza del destino”, valse alla “Banda garibaldina”, formazione molfettese di 60 elementi diretta dal maestro Giosuè Rossi di Perugia e così denominata per la caratteristica uniforme, il primo premio al Concorso nazionale tenutosi a Genova il 24 giugno 1899 nell’8° centenario della traslazione delle reliquie del patrono S. Giovanni Battista. La premiazione venne effettuata personalmente da Giuseppe Verdi, presidente della commissione giudicante. Molfetta ha onorato il sommo musicista intitolando a suo nome una strada e la vicina piazzetta.


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