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I porti di Puglia dal XVI al XVIII secolo: Il regno di Ferdinando IV

I porti di Puglia dal XVI al XVIII secolo: Il regno di Ferdinando IV



Durante il regno di Ferdinando IV, le iniziative nel settore delle opere portuali riguardarono, sembra, solo Brindisi, Gallipoli e Mola, sebbene non sia da escludere che si siano avute anche altre iniziative, cui non è giunta notizia . Il progetto per la sistemazione del porto di Brindisi, senz’altro quello cui si rivolsero le maggiori attenzioni del governo, fu affidato nel 1775 al noto ingegnere Andrea Pigonati, direttore del Genio Militare, il quale ricoprì, per ben tredici anni,anche la carica di direttore dei «Porti del Regno di Sicilia».

Brindisi, per la sua posizione strategica rispetto all’Adriatico, nonchè per la sua splendida conformazione naturale, doveva costituire, secondo Ferdinando IV, non solo un efficiente porto mercantile per i bastimenti di grossa stazza, ma anche il principale porto militare delle province orientali del regno. Tali importanti funzioni spiegano sia l’impegno del Pigonati, il quale elaborò il progetto in meno di un anno, completandolo nell’agosto del ’75, sia l’atteggiamento del governo che, diversamente dagli altri porti pugliesi, accettò le ingenti spese previste per la sua esecuzione, sia la rapidità con la quale esso fu eseguito, essendo stato iniziato nei primi mesi del ‘76 ed ultimato in meno di due anni, nel novembre del ‘78.
Il progetto del Pigonati, apparentemente semplice, prevedeva la riapertura del porto interno, attraverso l’escavazione di un canale, in parte artificiale, ed il miglioramento delle condizioni ambientali dell’abitato, mediante la bonifica di due aree paludose (quella di «Porta Lecce», particolarmente pericolosa data la sua vicinanza all’abitato, e quella delle «Torrette», formatasi nei pressi dell’ antico canale naturale). Per l’esecuzione del canale, destinato a ristabilire la comunicazione delle acque del porto interno con quelle dell’avamporto, il Pigolati previde la costruzione di due «moli» nella direzione del canale stesso, al fine di contenere il terreno dopo i lavori di scavo e di rendere permanente la profondità delle acque che si sarebbe ottenuta.
Le opere progettate, intraprese a partire dal febbraio del ‘76, furono tutte realizzate . Il canale, lungo palmi 2.752, raggiunse una profondità di 19 palmi per la sua intera estensione, tale da consentire il passaggio di bastimenti di grossa stazza, ed il porto interno, almeno in alcune zone, dovette avere la stessa profondità.
Gli interventi del Pigonati, comunque, risolsero i problemi del porto e dell’insalubrità dell’aria solo temporaneamente, poichè nel corso del decennio successivo al completamento dei lavori, le opere eseguite si rivelarono praticamente inutili. Il canale, infatti, progressivamente tornò ad interrirsi.
Quasi contemporaneamente il governo avviò anche alcune iniziative riguardanti il miglioramento dei porti di Gallipoli e di Mola.
Per il porto di Gallipoli, i membri dell’università, sin dal 1769 avevano chiesto la costruzione di alcune strutture per proteggere la rada dai venti dominanti, onde evitare i frequenti naufragi. Pochi anni dopo, nel 1773, Ferdinando IV incaricò l’ingegnere militare Antonio D’Orgemont di redigere il progetto, del quale sappiamo solo che prevedeva la creazione di un molo attestato al bastione di S. Giorgio e proteso, secondo una forma curva, in direzione nord – est. Questa proposta, però, o per l’impossibilità dell’università di far fronte alla spesa, o perchè non condivisa dal sovrano, non ebbe mai attuazione. La questione venne riaffrontata solo un ventennio più tardi, in seguito ad un disastroso naufragio verificatosi nel 1792. In quell’occasione si ritenne opportuno abbandonare il progetto del D’Orgemont, affidan¬do, probabilmente nel 1797, l’incarico del nuovo progetto all’architet¬to Carlo Pollio, allora impegnato a dirigere i lavori del porto di Brindisi. Ma la nuova soluzione, che prevedeva un porto molto più articolato e composto di due bacini, non ebbe alcun seguito.

Riguardo al porto di Mola, atro scalo interessato al commercio sin dal 1755 l’università aveva chiesto at governo di migliorare la protezione del bacino, caratterizzato da un’ansa naturale situata ad oriente dell’antico abitato. Si dovette però attendere, per qualche intervento, fino al 1790, anno in cui la progettazione delle opere necessarie fu affidata al colonnello Carpi e all’architetto Giuseppe Gimma, un’altra figura interessante nel campo delle opere pubbliche del regno, i quali progettarono un antemurale isolato (diga artificiale di scogli), simile a quello che si stava realizzando in quegli stessi anni nel porto di Barletta, proteso in modo da proteggere il bacino antistante dagli effetti dei venti dominanti (tramontana e greco). L’opera,
avviata fra il ‘90 e il ‘92, fu sospesa dopo pochi anni, rimanendo limitata a 6 canne di lunghezza.
Per quanto riguarda il miglioramento degli altri porti delle province è probabile che siano stati introdotti provvedimenti amministrativi atti a limitarne il degrado, come quelli adottati, ad esempio per Manfredonia.
In questo caso, dopo avere istituito, nel 1787, una deputazione delle «Strade e del Porto», fu imposta una penalità di 100 ducati ai proprietari di bastimenti che, durante la sosta nel porto, avessero scaricato la zavorra nel bacino.
Inoltre, poichè Manfredonia era un caricatoio di grani importante quasi quanto Barbetta, nel 1797 il governo, per agevolare i collegamenti tra il porto e l’entroterra, fece iniziare, a spese del Tesoro regio, i lavori per trasformare in «rotabile di fabbrica» la strada diretta a Foggia .


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