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Il nostro punto di vista sul biologico

Il nostro punto di vista sul biologico




Qualche tempo fa sulla rivista Internazionale è stato pubblicato un articolo, tratto dal settimanale tedesco Der Spiegel, dall’eloquente titolo Il biologico tradito in cui l’autore ha messo in luce i problemi che l’agricoltura convenzionale porta con sè e ha posto attenzione sui rischi di un biologico fatto senza coscienza e senza un’adeguata preparazione. Abbiamo letto l’articolo con cura e vi proponiamo qui le riflessioni di Fabio Brescacin, presidente di EcorNaturaSì.

L’articolo di Internazionale ci ha dato l’opportunità di poter chiarire alcune tematiche e di essere sempre più forti e chiari nel percorso che stiamo facendo a sostegno di un biologico di sempre più elevata qualità.
Perchè questo è quello che vogliamo e dobbiamo fare e che fa parte della nostra più intima e profonda missione. Questi principi ci hanno condotto fino ad oggi, per tutti questi anni; ci hanno fatto incontrare meravigliosi e generosi collaboratori che hanno contribuito a costruire questo edificio materiale e spirituale e ci hanno resi credibili a molti consumatori che con la fiducia in noi hanno reso questo possibile. Questi principi debbono essere per noi sempre una guida e non debbono essere mai traditi: se seguiti con coerenza e fedeltà, ci salveranno nonostante i nostri umani limiti ci facciano a volte errare. Non saremo così perfetti come vorremmo, ma la luce dell’ideale alto e magari lontano, sempre di fronte a noi come una cometa natalizia, ci salverà.
Prezzo degli affitti e dei terreni
La situazione è drammatica: i terreni agricoli costano troppo per gli agricoltori che non se ne possono permettere l’acquisto in quanto, ai prezzi attuali, è una spesa non ammortizzabile nel tempo. A questo proposito stanno nascendo anche in Italia iniziative come i GAT, Gruppo Acquisti Terreni, e la nuova iniziativa TERRE NUOVE; in Francia Terre de Lyens. Anche gli affitti stanno diventando molto alti a causa della produzione di biogas. Il biogas è una vera assurdità, perchè
non si può fare energia partendo da un prodotto alimentare. La natura crea grande complessità per donare un prodotto adatto all’alimentazione umana o animale; ridurlo a banale energia è uno scempio ecologico che non avrebbe ragione di esistere se il modo di pensare della società fosse di buon senso. Oggi molte persone o enti hanno terreni incolti, o sotto coltivati, e la soluzione è darli in gestione ad agricoltori ad un prezzo ragionevole. Ciò significa per i seminativi che il prezzo non deve andare oltre i 300, massimo 400 euro ad ettaro a seconda delle condizioni; mentre i “bio-gassisti” sono disposti a pagare anche 1000 o più euro, prezzo improponibile oggi per gli agricoltori.
Importazioni a basso costo e scandali
Il mercato e la richiesta di prodotti bio sono cresciuti a dismisura negli ultimi anni, al contrario della produzione e della cultura della produzione biologica. Per questo sono aumentate le importazioni da Paesi con un basso costo della manodopera, ma anche con qualche dubbio sulle tecniche di produzione. Gli ultimi scandali sui cereali e sull’olio ne sono la testimonianza. Noi crediamo che in primo luogo debba essere sostenuta l’agricoltura locale italiana. Questo può avvenire solo pagando adeguatamente il prodotto e sostenendo gli agricoltori, come cerchiamo di fare con il progetto Le Terre di Ecor. Reputiamo però, che non vada demonizzata l’importazione, se fatta con serietà sostenendo progetti agricoli sani in tutti i luoghi del pianeta e non in concorrenza, ma in armonia con la produzione locale. Ne è un esempio la nostra importazione di banane, o di pere e mele argentine o quella che vorremmo fare per cereali, che purtroppo da noi mancano. I nostri progetti dimostrano che, anche in altri luoghi, si può sviluppare la cultura del bio, diventando anche un germoglio per un futuro consumo locale.
Burocrazia
È la follia delle follie in Italia per la nostra mentalità quasi “maniacale”, con burocrazia e cavilli che, a volte, non hanno alcun valore effettivo per il controllo sulla qualità del prodotto. Gli enti di certificazione controllano minuziosamente le documentazioni, ma è anche importante guardare negli occhi l’agricoltore e percepire se la persona che abbiamo davanti fa bio perchè ci crede o è solo un opportunista. Bisognerebbe osservare e camminare per i campi per percepire se la terra è sana, come si presentano le colture, se vi è cura per la Vita o solo tecnicismo. In Italia, oltre la certificazione bio esiste anche una forte burocrazia di stato: seguire una burocrazia a volte eccessiva sta diventando uno dei grandi oneri in termini di tempo e denaro di tutte le aziende e in particolare di quelle biologiche. Non diciamo che i controlli non debbano esserci, ma con intelligenza, serietà e coordinamento tra i vari enti.
Mentalità del bio e tecnica agricola
Oggi abbiamo sviluppato un’ottima tecnica agricola anche nel biologico e nel biodinamico che non esisteva trent’anni fa quando abbiamo cominciato. Dobbiamo evolverci, dobbiamo essere sempre più professionali, ma il nostro lavoro non deve e non può ridursi a mero tecnicismo. Il nostro pensare, il nostro osservare la natura, il nostro leggere gli eventi deve avere una concezione più profonda. Direi che debba avere una visione morale. Il nostro scopo non è solo quello di fare un
prodotto a zero residui, anche se è già una meta importante, ma deve essere quello di curare la terra, di renderla fertile, di osservare la pianta come archetipo e portatore della Vita, di vedere un animale come un fratello minore da accompagnare per un’esistenza dignitosa, anche se al nostro servizio, e di trattare i nostri compagni di lavoro e i nostri clienti con il rispetto e la stima di cui ogni essere umano è degno.
Convenzionalizzazione del biologico
È vero, è un grande rischio, che in parte si sta avverando, perchè a volte approcciamo il nostro lavoro con la mentalità del convenzionale e questa è un’enorme tentazione ed un rischio che corriamo ogni giorno, in ogni nostra scelta. A volte “scimmiottiamo” il convenzionale nelle nostre scelte, nel nostro modo di procedere e ciò significa che non abbiamo sempre fantasia, che i nostri pensieri non sono sufficientemente forti, che non abbiamo il coraggio di rischiare o abbiamo poca fiducia sia nelle nostre idee sia in ciò che facciamo. Noi dobbiamo avere il coraggio di guardare
avanti, di rischiare, di cercare nuove vie. Se non fosse stato così, trent’anni fa non ci saremmo inventati quello che ora sta maturando. Dobbiamo, allora, avere sempre il coraggio di guardare avanti, di non farci ammaliare dal modo di pensare convenzionale, o da un apparente ma effimero successo di un agire che non va all’essenza delle cose. Questo non vuol dire “PICCOLO È BELLO”
come recitava quel libro di Schumacher che ha infiammato i nostri cuori negli anni ottanta. Piccolo è bello, ma GRANDE È POSSIBILE. È necessario solo non perdere i nostri principi, allargare la nostra capacità di coscienza, trovare nuovi e più complessi sistemi organizzativi. Il bio si può fare bene su 100 metri quadrati, ma anche su 1000, anche su 1 milione, anche su 10 milioni con modelli diversi, ma sempre coerenti e per nulla tradenti i nostri principi. Lo dimostriamo con la Fattoria Di
Vaira, con la Cooperativa agricola biodinamica San Michele e con le Cascine Orsine. Quindi a chi ci critica perchè siamo diventati troppo grandi, anche se in realtà siamo solo una “pulce” rispetto al convenzionale, rispondiamo che anche ingrandendosi si può fare del buon biologico. È necessario,
infatti, aumentare e allargare a più persone la forza dei propri ideali e del modello organizzativo,
perchè crescere significa che più persone mangeranno in modo sano, che più terre saranno coltivate in modo pulito, e che attraverso l’alimentazione e la cura della terra e dell’ambiente migliorerà l’umana coscienza di un sempre maggior numero di persone.
Biologico non è uguale a biologico
È vero la crisi tremenda dell’agricoltura convenzionale ha fatto in modo che, negli ultimi anni, molti agricoltori siano passati al bio per avere una qualche prospettiva economica. Questo non è stato un male, anche se a volte il passaggio è stato fatto senza un’adeguata coscienza e preparazione. Noi del biologico specializzato dobbiamo occuparci sempre di più di coltivare rapporti forti e chiari con le aziende di eccellenza del bio ed evidenziare rapporti con aziende sane, presentabili in ogni momento ai nostri consumatori ove non ci sia, nè sfruttamento della terra, nè delle persone, nè delle risorse ambientali che ci sono state affidate.
Mele “buone dentro”
Altro enorme e rilevante problema. È chiaro che nei negozi non dobbiamo vendere le mele marce o la verdura appassita: anzi l’ortofrutta deve essere sempre il più fresca e vitale possibile. È evidente, però, che nel biologico abbiamo cercato di imitare troppo gli standard estetici del convenzionale. In questo modo troppo prodotto viene ancora scartato in sede di lavorazione o mandato all’industria con aggravio di costi sia per l’agricoltura, ma anche per il consumatore in quanto il prodotto venduto deve compensare con il prezzo anche quello eliminato o svenduto all’industria di trasformazione. Un prodotto sano, magari di calibro piccolo, è altrettanto buono e salutare di uno
di calibro standard. Portare una coscienza di questo al consumatore sarebbe un beneficio per tutti. Una coscienza attenta percepisce come uno scempio scartare prodotti buoni e sani solo perchè non rispettano certi standard estetici. Nel biologico questo fatto è ancora più grave che nel convenzionale, perchè il mancato uso della chimica e la necessità di avere nel tempo sempre più piante da sementi non ibride, comporta calibri e pezzature diverse quindi una sana “biodiversità”. Questo è un tema che ormai molti consumatori comprendono, che va spiegato e che può diventare una leva molto importante per una nostra chiara e cosciente comunicazione al consumatore con evidente beneficio per tutti. In questa direzione si sviluppa la nostra iniziativa “buoni dentro” evidenziata nel reparto ortofrutta dei negozi Cuorebio.
Nuovi negozi, stessi principi
Siamo cresciuti insieme, uno per merito dell’altro: agricoltori, grossisti, negozianti e consumatori. Ora il mercato del biologico è cambiato e sono richiesti negozi grandi, belli e professionali. Una fascia molto più ampia e diversa di consumatori si avvicina al bio e noi dobbiamo essere in grado di parlare, dialogare e di offrire sia il nostro prodotto che i nostri principi di vita. Questo, però, non significa trascurare il rapporto con i negozi storici e con le realtà e i rapporti esistenti. Molti punti di vendita, partendo da un negozio esistente, con persone motivate e credibili e consumatori affezionati, hanno fatto il salto evolutivo su metrature più grandi, con nuova professionalità e in questo caso il rapporto con EcorNaturaSì è stato determinante. A noi quindi il compito di sviluppare punti vendita grandi e moderni, senza trascurare, anzi valorizzando, la credibilità e il lavoro svolto dai negozi storici negli anni, ma anche ai negozi l’intraprendenza di osare nel fare un salto imprenditoriale richiesto da una situazione molto diversa da quella che è stata il presupposto per la loro nascita. Questo non significa abbandonare gli ideali. Significa renderli maggiormente permeabili alla società di oggi e continuare a servirli in modo più consono ai tempi, e con un modello che permetta una sana e fraterna economia, così come il biologico fa con il futuro dell’agricoltura.
Benessere degli animali
Noi vendiamo la carne, anche se pochissima rispetto al mercato convenzionale, come vendiamo uova e latticini, il che, volente o nolente, richiede il sacrificio degli animali. Il vegetarianesimo e il veganesimo sono ideali di vita a cui tutta l’umanità tende. Tali ideali sono un bene per la nostra salute e le scarse risorse del pianeta, ma pensiamo che ognuno abbia il diritto di fare, in perfetta
libertà, il proprio percorso di scelta ed evoluzione alimentare. In ogni caso siamo chiamati ad allevare ed accudire gli animali con il massimo rispetto e questo è giustamente chiesto a noi dai
nostri consumatori. La sensibilità nei confronti degli animali fortunatamente sta aumentando ed anche a questa sensibilità dobbiamo dare adeguata risposta lavorando con aziende che la “coltivino” sopra ogni cosa. Quindi è importante non solo l’alimentazione bio, ma anche il rispetto
della vita dell’animale nel massimo grado possibile.
Italiani più furbi che santi
Premesso che dobbiamo fare di tutto per avere un prodotto locale ed italiano, la chimica e l’industrializzazione dell’agricoltura standardizza le produzioni in ogni parte del mondo. La pianura padana è semi sterile, come altre piane europee o statunitensi; quindi quello che conta è la tecnica di produzione e la vitalità e fertilità di ogni singola azienda. La vicinanza geografica della zona di produzione alla zona di consumo ha indubbiamente un grande valore, ma non significa che noi italiani siamo più bravi degli altri. Questa è un’illusione, più che una realtà. Purtroppo invece siamo “padri” di qualche scandalo sul biologico. Spesso un po’ superficiali e “furbetti” lo siamo, al punto che la nostra reputazione all’estero, anche sul bio, non è al top e noi, come EcorNaturaSì, abbiamo dovuto implementare un nostro sistema di assistenza ed affiancamento alle aziende agricole. Nel tempo vorremo che tutti i nostri prodotti, seppur all’interno del sistema della certificazione bio, si differenziassero da un bio anonimo, pur certificato. Vorremmo emergere non solo per l’eccellenza di qualità non solo bio od organolettica, ma anche per tutte le implicazioni ambientali e sociali che il bio deve portare con sè e che sono parte della nostra missione e delle giuste aspettative dei nostri consumatori.
Il giusto prezzo
Da tempo poniamo l’attenzione sulla necessità di riconoscere a tutti i componenti della filiera un giusto prezzo, e in particolare agli agricoltori. Il prezzo basso dei prodotti agricoli ha distrutto l’agricoltura in generale e rischia di distruggere anche il biologico. È nostra responsabilità commerciale creare un sistema che riconosca a tutti il giusto prezzo per fare bene il proprio lavoro.
Questo dobbiamo trasmetterlo anche a coloro che, riconoscendocelo e facendo scelte di acquisto eque e consapevoli, lo rendono possibile. A volte pochi centesimi su un chilo di frumento o su un litro di latte possono rappresentare la morte o la sopravvivenza di un’azienda agricola, pur risultando poco onerosi per l’economia dei nostri consumatori.
Gli agricoltori non lavorano sotto una campana di vetro
È chiaro che noi non dobbiamo, nè vogliamo, usare prodotti che creino danni alla salute, nè piante OGM, ma siamo nel mondo e in un ecosistema, limitato e chiuso com’è il nostro pianeta, le tonnellate di pesticidi usati possono contaminare tutti. La qualità di un prodotto non si limita solo
alla mancanza di residui, ma riguarda la sua vitalità e conseguentemente la sua capacità di nutrire adeguatamente il nostro organismo; questo dipende da come lo abbiamo coltivato, dalla fertilità e dall’humus del terreno, dalla capacità di essere veicolo e ripristino nel nostro organismo di forze solari e cosmiche e a quel punto anche un minimo residuo da contaminazione viene assorbito e neutralizzato e diventa un problema minore. Dobbiamo essere in grado di decontaminare i terreni e le acque con i nostri metodi e coltivare e riportare la vita dove è stata distrutta dall’opera dell’uomo e dall’inquinamento.
Accettare e sostenere la conversione
Negli anni d’oro, in cui gli ideali erano fortissimi e c’erano senso della realtà e buon senso, avevamo il marchio Biodyn per i prodotti biodinamici in conversione e quello Demeter per i prodotti dopo la conversione. Questo era un sistema sano e giusto. Il periodo più difficile per l’agricoltore che vuole passare al bio è il periodo di conversione; si fanno errori, il terreno non risponde ancora sufficientemente alla mancanza della chimica e quindi in quel periodo va sostenuto di più economicamente. Commercianti e consumatori sarebbero egoisti e poco consapevoli se pretendessero di avere un prodotto bio senza preoccuparsi di sostenere la conversione e non facendosi carico di un prodotto ancora sulla via per diventare veramente biologico.


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