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7° app. con la rubrica curata dall'avv. Mariano Caputo: ''La giurisprudenza sul contenzioso in materia di acustica - parte 2''

7° app. con la rubrica curata dall'avv. Mariano Caputo: ''La giurisprudenza sul contenzioso in materia di acustica - parte 2''


La giurisprudenza
Gli estratti delle sentenze oggetto della presente relazione, che si occupano tutte di rapporti di compravendita (tra le quali alcune sentenze, come Trib. Torino 23 aprile 2007 oramai “storiche”, per quanto una espressione siffatta sia del tutto incompatibile con la caratteristica della sentenza quale decisione del caso concreto, circostanza a quanto pare troppo spesso dimenticata in questa materia) sono riportati in appendice alla presente relazione, assieme ad un prospetto sinteticamente riepilogativo delle principali regole codicistiche applicabili al tema.
Alcune delle conclusioni, cui pervengono in maniera sostanzialmente omogenea le sentenze esaminate, possono essere qui raccolte. Il primo principio affermato dalla giurisprudenza è che il compratore ha il diritto di ricevere, e il venditore l’obbligo di consegnare, un bene “non rumoroso”: un bene “rumoroso”, caratterizzato da una inidonea insonorizzazione è infatti considerato “inidoneo” all’uso cui è destinato o comunque il rumore “ne diminuisce considerevolmente il valore”, integrando perciò violazione del disposto dell’art. 1490 c.c. in materia di compravendita.
Per certi versi, questa inidoneità all’uso sembra riflettere, dal punto di vista “oggettivo” delle caratteristiche del bene, un principio che la giurisprudenza ebbe a suo tempo ad elaborare estendendo l’ambito di tutela dell’art. 844 c.c. dalla mera tutela della proprietà intesa come limite reciproco nei modi di utilizzazione dei fondi. Si veda ad esempio la sentenza 15 ottobre 1998 n. 10186 della Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui “L’immissione di rumore nell’abitazione priva il proprietario (o il titolare) della possibilità di godere nel modo più pieno e pacifico della propria casa e incide sulla libertà di svolgere la vita domestica, secondo le convenienti condizioni di quiete...il godimento delle cose implica, in fatto, il rapporto tra la persona e la cosa...il disagio personale del titolare si considera come una oggettiva privazione della facoltà d’uso”.
Il secondo principio è che il bene compravenduto è “rumoroso”, e la sua insonorizzazione è inidonea, quando l’immobile non rispetta i requisiti acustici passivi dettati dal D.P.C.M. 5.12.1997: in altre parole, i dati numerici del decreto rappresentano la soglia tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
Il mancato rispetto del D.P.C.M. 5.12.1997, pertanto, comporta “l’esistenza di vizi nel bene compravenduto” ( Trib. Torino, 23.4.2007). Il terzo principio è che, se il bene “rumoroso” nel senso sopra detto è un bene affetto da “vizio”, la disciplina sanzionatoria di questa fattispecie è la disciplina contrattuale applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio: nelle fattispecie esaminate, tutte relative a contratti di compravendita, troverà applicazione la disciplina degli articoli 1495 e seguenti del codice civile.
Sono a questo punto possibili alcune considerazioni.
La prima è che la giurisprudenza sanziona l’inosservanza del decreto (ovvero, l’inidoneità acustica del bene) come vizio che integra una inidoneità “parziale” del bene e che ne determina una riduzione del valore, e non invece come vizio che rende il bene “totalmente inidoneo all’uso”.
Certo questo deve ritenersi conseguenza del principio processuale della domanda, secondo cui il Giudice si pronuncia su quanto le parti gli chiedono, visto che le domande attoree nei giudizi in esame non avevano ad oggetto la risoluzione del contratto; nondimeno l’affermazione giudiziale, secondo cui l’inosservanza dei requisiti acustici passivi comporta l’inidoneità (soltanto) parziale all’uso e conseguentemente, in caso di impossibilità di eliminazione del vizio, (soltanto) una riduzione del prezzo, implica una connessa affermazione: non sono in gioco, nella normativa applicata in queste sentenze, diritti fondamentali inderogabili; in particolare, oggetto di tutela del D.P.C.M. non è il diritto alla salute protetto dall’art. 32 della Costituzione.
Ed infatti, se il diritto del compratore a ricevere un bene conforme al D.P.C.M. è un diritto suscettibile di essere diversamente soddisfatto - non attraverso un inderogabile obbligo di consegnare solo ed unicamente un bene conforme ai requisiti, bensì attraverso una rideterminazione del prezzo e quindi un riequilibrio delle prestazioni patrimoniali originariamente pattuite - ciò significa che non si verte in tema di diritti inderogabili. Il diritto alla salute, in particolare, non sarebbe mai suscettibile di scambio con una riduzione di prezzo: nè del 20%, nè di qualsiasi altra entità.
Il diritto ad un bene “non rumoroso”, dunque, è un diritto “negoziabile” o “misurabile” che dir si voglia.
Assolutamente significativa è, in questo senso, proprio la già citata sentenza Trib. Torino 23 aprile 2007, la quale ha sanzionato il vizio acustico dell’immobile con una riduzione del 20% del prezzo, ma in pari tempo ha rigettato la domanda di risarcimento del danno, in quanto non provato.
Ciò significa che il danno alla persona, se danno vi è, è qualcosa di “altro” rispetto alla mera circostanza di fatto della “inidoneità acustica”: come tale può esservi o non esservi, ma comunque non è implicito nè intrinseco all’inosservanza dei requisiti del D.P.C.M.
In altre parole, il D.P.C.M. 5.12.1997 non tutela il diritto alla salute.
In una prospettiva di questa natura, in cui il diritto vivente di matrice giurisprudenziale valorizza il diritto ad un bene non rumoroso in termini patrimoniali, ma sancisce al contempo che l’ordinamento consente (a pagamento) l’esistenza di immobili privi dei requisiti acustici passivi del D.P.C.M., ci si deve interrogare sulla portata del sopra citato art. 11 della legge n. 88/09 e della ivi prevista “non applicazione” della normativa sui requisiti acustici passivi ai rapporti tra privati.
Non ci si vuole qui soffermare sulle numerose, note questioni interpretative che la norma ha sollevato a causa della sicuramente infelice formulazione.2
Ci si vuole invece porre un’altra domanda, che è inevitabile corollario dell’analisi fin qui compiuta: venuta meno l’applicabilità del D.P.C.M., quale sorte è riservata ai principi affermati nella sua vigenza dalla giurisprudenza?
In particolare: in mancanza di requisiti normativamente definiti, quale criterio si applica per decidere se c’è vizio? Ovvero, quali requisiti deve avere un bene per essere idoneo e quindi non viziato?
Non appare possibile affermare che, siccome il D.P.C.M. non si applica ai rapporti “tra privati”, ma rimane comunque nell’ordinamento, allora esso continua a rappresentare parametro numerico di riferimento: si tratterebbe, infatti, di una interpretazione palesemente abrogatrice dell’art. 11 e contraria alla esplicita volontà del legislatore.
Ad avviso di chi scrive, appare invece inevitabile concludere che il legislatore ha rinunciato, almeno fino al previsto “riordino della materia”, ad una regolamentazione ex lege della “idoneità acustica” del fabbricato ed alla fissazione di valori di soglia cui ricollegare una quantificazione “normativa” del “vizio acustico”.
Ma se così è, torna ad assumere la sua piena valenza espansiva la disciplina normativa dei contratti ed in particolare quell’elemento, imprescindibile e fondamentale, che è la volontà delle parti: i valori di soglia vengono concordati tra le parti.
Il venditore deve consegnare un bene avente i requisiti acustici passivi, che contrattualmente si è obbligato a garantire; il compratore ha diritto di ricevere un bene avente i requisiti acustici passivi, per i quali contrattualmente si è obbligato a pagare e che costituiscono quindi una delle componenti del corrispettivo.
E’ una conclusione coerente con i principi della giurisprudenza sopra esaminata: ad un dato livello di “idoneità acustica” corrisponde un dato livello di “valore” dell’edificio e quindi di prezzo.
Soprattutto, è una conclusione coerente con i più recenti interventi normativi in materia di edilizia.
Identico criterio, ad esempio, è stato introdotto dal legislatore per la disciplina di un altro requisito dell’edificio, cioè il rendimento energetico.
Nel D.M. 26 giugno 2009, contenente le “Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici” si legge infatti che “sono elementi essenziali del sistema...: a) i dati informativi che devono essere contenuti nell’attestato di certificazione energetica...che consentano ai cittadini di valutare e raffrontare la prestazione energetica dell’edificio in forma sintetica e anche non tecnica” (art. 4 comma 1) e si prevede il monitoraggio dell’applicazione della normativa “finalizzato a garantire le più efficaci modalità di trasferimento delle informazioni nei confronti degli acquirenti e dei conduttori degli immobili” (art. 5 comma 3 lettera a ).
Ancora più esplicitamente, nell’Allegato A al Decreto si legge che il sistema di certificazione energetica mira a “fornire informazioni...per acquisti e locazioni di immobili che tengano adeguatamente conto della prestazione energetica degli edifici” (art. 1); e ancora, “l’attestato di certificazione energetica degli edifici, con l’attribuzione di specifiche classi prestazionali, è strumento di orientamento del mercato...in un bilancio costi/benefici” (art. 7).
Con l’ulteriore e conseguente corollario, per il quale “il proprietario dell’edificio, consapevole della scadente qualità energetica dell’immobile, può scegliere di ottemperare agli obblighi di legge attraverso una sua dichiarazione in cui afferma che: - l’edificio è di classe energetica G; i costi per la gestione energetica dell’edificio sono molto alti”: con il che non viene affatto vietata la compravendita di un siffatto immobile, ma “mantenendo la garanzia di una corretta informazione dell’acquirente” (art.9).
Nella medesima direzione conducono, tornando all’acustica, i lavori della Commissione UNI ai fini della “Classificazione acustica delle unità immobiliari”.
Nella bozza di norma UNI in discussione - ed ormai prossima alla approvazione finale - viene infatti introdotta una classificazione che distingue le prestazioni acustiche in una scala di quattro classi da “ottime” a “modeste”, cui si aggiunge una valutazione “non classificabile” per caratteristiche peggiori della classe IV.
Viene previsto uno specifico obbligo, per il soggetto che è in possesso del titolo autorizzativo edilizio, di dichiarare la classe dell’unità immobiliare, sulla base delle indicazioni fornitegli dal tecnico competente attraverso il rapporto di verifica acustica.
Viene precisato, in piena rispondenza a quanto fin qui ricordato, che “la classificazione acustica di un sistema edilizio consente di informare compiutamente i futuri utilizzatori sulle caratteristiche dell’edificio che andranno ad abitare3 e di tutelare i vari soggetti che intervengono nel processo edilizio (proprietari, progettisti, costruttori, venditori, produttori, ecc.) da possibili successive contestazioni”.
Quest’ultima affermazione porta ad affrontare un’ultima tematica.
In un contesto normativo, in cui il bene immobile “deve” possedere requisiti definiti, in cui cioè l’acquirente intende (ha diritto di) ottenere con il contratto di compravendita un ben preciso risultato, diventa inevitabile una riflessione finale, ma tutt’altro che secondaria, sul ruolo dei soggetti coinvolti nel processo edilizio, ed in particolare dei professionisti incaricati della progettazione, della direzione lavori, del collaudo.
Se il bene che esce dal processo edilizio deve possedere requisiti oggettivi predefiniti e misurabili, è giocoforza affermare che il possesso di quei requisiti rappresenta un parametro vincolante per il professionista nello svolgimento della sua funzione: e questo dicasi sia per il progettista, sia per il direttore dei lavori, sia per il collaudatore.
Naturalmente, un’affermazione di questo tipo porta con sè innumerevoli questioni relativamente al rapporto che lega il professionista al suo committente: si pensi alla necessità che il progettista riceva precise direttive sul livello di certificazione che il committente vuole conseguire, e che vengano posti parametri economici (di costo dell’opera da progettare) coerenti con il livello di qualità acustica richiesto e commissionato4; si pensi ancora alla crescente complessità che assume la funzione di direzione lavori, attraverso la inevitabile ridefinizione delle nozioni di “vigilanza”, “alta sorveglianza”,
“operazioni elementari”5; si pensi alle conseguenze della “accettazione” dell’opera, o della certificazione di regolare esecuzione.
Senza poter qui approfondire tutte queste specifiche questioni, è comunque certo che si impone una riflessione sul ruolo dei professionisti e sul rapporto con la committenza, nel momento in cui si introduce esplicitamente il principio secondo cui il requisito acustico, caratteristica oggettiva e misurabile del bene, costituisce a tutti gli effetti un “risultato”.
Ci si deve domandare, ad esempio, se troverà ulteriore accelerazione l’ormai decennale affermazione di origine giurisprudenziale, in materia di direzione lavori, secondo cui “in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di una obbligazione di mezzi e non di risultati, ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di particolari e peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente - preponente si aspetta di conseguire” (così ancora recentemente Cass.Civ., sez. II, 24.4.2008 n. 10728); se e come riceverà ulteriore impulso la regola della integrazione tra le prestazioni specialistiche6; non da ultimo, ci si deve domandare come tutto questo influirà sulla disciplina economica del rapporto professionale.
Tra fughe in avanti e repentini ripensamenti, tra novità dichiarate ed altre sottointese, si ha insomma conferma, ancora una volta, di come la disciplina del processo edilizio, del “progettare” e del “costruire”, incida profondamente su fenomeni complessi di rilevanza collettiva.
3(La necessità che il requisito acustico, essendo “inerente” al bene immobile, debba essere oggetto di adeguata pubblicità ai terzi è stata ben presente anche alla giurisprudenza, tanto che in Tribunale Milano 23 aprile 2007 si legge che l’inadeguatezza acustica accertata dal Giudice, in quanto diminuisce il valore del bene, “dovrà essere resa nota agli eventuali successivi acquirenti del bene”; tuttavia, quella sentenza non ha poi adottato alcun provvedimento per rendere effettivo l’obbligo del proprietario attore di quel giudizio.)
4 Si legge nella bozza di norma UN:” se si considera il fatto che la classificazione acustica si basa su misure fonometriche eseguite al termine dell’opera, risulta di particolare importanza realizzare un progetto previsionale dei requisiti acustici passivi che riesca a stimare al meglio possibile le prestazioni che verranno riscontrate a fine lavori”. Anche il requisito acustico, insomma (ed ovviamente) va progettato.
5 ancora dalla bozza di norma UNI:”se si intendano ottenere in opera valori paragonabili ai risultati definiti nel progetto,è di fondamentale importanza controllare con attenzione la corretta esecuzione dei lavori. Piccoli errori di posa possono comportare forti scostamenti tra valutazione previsionale e risultato finale”.
6 Sempre dalla bozza di norma UNI: “E’ opportuno che la progettazione dei requisiti acustici, i controlli in corso d’opera e le misure strumentali vengano eseguiti da tecnici dotati di adeguata preparazione nei campi dell’acustica, dell’edilizia e dell’impiantistica”.


29/12/2012
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